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giovedì 7 luglio 2016

Tappa Ventitré: da Altamura a Masseria Miseria (Laterza)

6 luglio 2016

 
Sante ha voluto immortalare il nostro passaggio con una foto sul divano che "ne ha viste parecchie". Alle sei di mattina il nostro contributo a questo progetto fotografico sono facce sconvolte che ci trasformano in persone serie e pure un po' snob. I piedi, però, parlano chiaro: anche se scalzi e immobili per lo scatto, raccontano ciò che anticipa la partenza nel peso in avanti di Giulia, pronta ad andare, o nel piede di Clara che cerca all'interno la spinta giusta.

 
Il primo tratto di Appia è una provinciale poco frequentata, da lenti mezzi agricoli e macchine frettolose. Linee di tufo corrono ai bordi della strada a ricordo di qualcosa che fu ma sembrano muti, senza più niente da dire. Forse perché le cicale e i grilli da queste parti fanno un gran fracasso. 
L'arancio ha lasciato spazio al giallo già da un bel pezzo quando ritroviamo il tratturo, sebbene dei suoi 111,11 metri ne rimanga solo una manciata. È un breve incontro, presto si trasforma in sterrata divorata dalle infestanti e da un timido ma inconfondibile odore di fogna, ciò che resta del torrente Jesce. Ritorniamo sulla provinciale, ora più tortuosa, che attraversa immense distese di campi e masserie che sfilani come cattedrali di sabbia resistenti ai venti del nuovo. Prima di una rotonda, la vista di una molitudine di asini dalle acconciature strampalate ci solleva gli animi e cancella i pensieri, solo per un attimo. Sì, perché oggi camminiamo in fila per la maggior parte del tempo, il caldo rende i nostri pensieri posti comodi da abitare per sfuggire la ripetitività. Camminare una davanti all'altra ci permette anche di essere due, di far sì che il nostro diritto di andare si imponga con maggiore autorevolezza.
"Va' dove ti pare!", urla a Giulia un anziano signore in macchina. Non capiamo se si tratti di stizza o invidia, perché in effetti ha ragione: a piedi si può andare dove si vuole; in macchina c'è bisogno di seguire regole e logiche che rendono la marcia piena di strutture. I nostri successivi passi sono rinforzati dalla consapevolezza di questa libertà, che ci godiamo fino a che la canicola e un lungo lunghissimo rettilineo ci fanno perdere la concezione spaziotemporale del cammino, in mezzo ai campi di grano.

 
BREVE COMIZIO MONOCOLTURALE (SEMISERIO)

Indìgnati, Terra. 
È sconcertante vedere quasi esclusivamente grano per tutti questi chilometri. È avvilente sapere che la maggior parte degli ettari attraversati dal nostro sguardo tra Basilicata e Puglia - e in chissà quante altre zone - vengano di anno in anno impoveriti della vita, della sua corroborante diversità, dei suoi colori. Due regioni invase dal flagello giallo, una piaga che costringe comuni limitrofi a contendersi il primato del miglior pane locale.
Ribellati, Terra, che so, facendo ruzzolare le rotoballe fino a invadere la provinciale, o sparando in superficie troppi reperti archeologici perché possano essere ricoperti. Oppure, ecco, fai crescere a tua discrezione, con l'aiuto del vento o di uccelli migratori, banani, stelle alpine o baobab. Perché si possa imparare ancora qualcosa dal Piccolo Principe.
Indignati, Terra.
Reagisci al nostro sfruttarti senza nemmeno ringraziare.
Perché noi non ne siamo capaci, se tu non ci costringi a farlo.

 
Liliana ci viene a prendere nei pressi della Masseria Miseria e ci accompagna a Laterza nel suo B&B. Quando usciamo dalla doccia, il tavolo è apparecchiato per due. Questa è la meraviglia dell'ospitalità: il formaggio tagliato a cubetti (tre pezzi ciascuno), la focaccia ad attenderci. Mentre ci deliziamo, il cielo inizia a piovere un fiotto d'acqua continuo, come se l'avesse raccolta per mesi prima di lasciarla andare tutta insieme. E noi che lo pensavamo sterile. Quando smette, i fiori del terrazzo di Liliana sono distrutti ma l'aria è fresca. Liliana ci accompagna a vedere la gravina, col suo strapiombo alto fino a duecento metri, che pochi autoctoni conoscono e ancora meno valorizzano. Lei è una di quelle che ascolteresti per ore, con quegli occhi vividi, incastonati in una giungla di ricci scuri e una passione traboccante per la sua terra.
"Per me il fatto che veniate dal Nord per visitare questi posti è un regalo, ma anche un cruccio. Dovete arrivare voi da fuori per farci rendere conto di quello che abbiamo".

 
Ci perdiamo tra le stradine aggrovigliate del centro storico che cerca di riprendersi la vita un po' sottovoce. Di questo parliamo a cena con Liliana che cerca di fare qualcosa perché il suo diventi non il migliore fra i paesi, ma un luogo dove le cose funzionano nel rispetto del territorio.

mercoledì 6 luglio 2016

Tappa Ventidue: da Gravina in Puglia a Maccaronaro (Altamura)

5 luglio 2016

 
Nel nostro giorno di pausa visitiamo Matera. Arcipelago di roccia prosciugato della sua autenticità, è una città stupenda, trasformata in un carnet di ingressi turistici. La sera torniamo da Franca e Michele che deliziano naso e stomaco con un banchetto di sapori pugliesi: bruschette di pomodoro, burratine, carciofi sott'olio fatti in casa, trecce di mozzarella, ricotta spalmata di marmellata al mandarino, parmigiana, fichi, limoncello e mandarinetto. Dicono che avrebbero fatto volentieri di più per noi. Li abbracciamo stretti stretti con addosso l'impressione comune che ci piacerebbe tornare.

La tappa più breve dell'Appia sembra un appunto giunto in un secondo momento, graffettato al resto per non perderlo. Sarà che arriva dopo un giorno ferme, una guerra di cuscini e una notte torrida e insonne, sarà che Arturo è tornato a camminare con noi, che gli zaini sembrano meno pesanti, sarà che è tutto uno sfrecciar di macchine senza il riparo di un marciapiede. Rifuggiamo il traffico attraversando i campi, il caldo dimostra presto una tenacia indifferente e il cielo è sbiadito di nuvole rupestri. Si cammina a gruppi di due, uno alla volta ci godiamo ognuno i propri passi e torniamo a stringerci solo quando arriva il momento di leggere Paolo, che contrasta il premere degli acceleratori, intrecciando mondi di parole che ci portano lontano da lì.

 
Al bivio per Altamura scegliamo di fare un angolo retto ed entriamo in città: si cammina per arrivare, oggi. Dopo la seconda colazione, affidiamo i nostri sogni alla villa comunale popolata da anziani in attesa e inservienti che curano il giardino come fosse il loro. È un risveglio a tre tempi e senza fretta: i nostri sguardi si intrecciano tra una panchina e l'altra e sanno dirsi un sacco di cose, anche prima di noi. Poi ci addentriamo nel labirintico cuore medievale di Altamura. Ci sentiamo un po' più turisti che viandanti: è l'ora della sveglia della città, quasi ci sorprendono le vetrine dei negozi, noi disabituate all'apparenza. Arturo ci saluta presto, avrebbe voluto restare con noi fino a Taranto, ma la vita spesso accade d'improvviso, come una folata di vento che scompiglia i capelli alla sposa, proprio quel giorno. 
Giulia sceglie il posto per il pranzo e lo sceglie per il nome: La ricetta della felicità. È un take away di pesce con qualche tavolino poggiato fuori. Ci accoglie Mimmo strappandoci subito il sorriso con il suo avanti e indietro dal bancone: ci illustra i piatti, ci fa posare gli zaini "che mi fanno caldo solo a vedervi" e ci offre il servizio al tavolo, nonostante i cartelli ribadiscano il contrario. Ogni volta che esce porta con sé una domanda, alla fine trascina fuori anche Mario, lo chef, che tiene in braccio un salmone intero.

 
Istighiamo il loro senso di appartenenza chiedendo di indicarci il pane più buono della zona. "Ci penso io", dice Mimmo, e ci va a comprare una pagnotta con cui facciamo scarpetta. "E cosa c'è da vedere qui?".
"Qui abbiamo le orme dei dinosauri, l'uomo primitivo e il pulo".
"Cos'è il pulo?".
Ma Mimmo si perde tra un'ordinazione e una battuta e alla domanda di Giulia "quanto dista il mare da qui" risponde "due anni". Così, quando la conversazione assume toni surreali, salutiamo e ci allontaniamo rasente muri alla ricerca di un posto fresco dove lasciar sfogare il pomeriggio.
Sfuggiamo il sole sdraiate sul divanetto di un bar. Clara si addormenta sulle gambe di Giulia in un quadretto fermo, appeso alla parete di una cittadina che corre. Lì ci raggiunge Sante, un altro tassello fondamentale del puzzle Appia: architetto, viaggiatore, restauratore, musicista e fotografo. Alcuni dei suoi scatti sono esposti alla mostra sull'Appia Antica a Roma, virtualmente vicino a noi. Non ci chiede cosa facciamo nella vita ma per la prima volta ci sentiamo domandare "che formazione avete?". Leggiamo un interesse al percorso più che al risultato ed è già qualcosa che ci avvicina. Un'altra affinità è la musica: dopo un primo imbarazzo sulla scelta delle canzoni, all'arrivo degli strumentini l'entusiasmo ha il sopravvento. Armonica, kalimba, kazoo, scacciapensieri: una jam session inascoltabile ma divertentissima che continua fino all'ora di cena.

 
Si uniscono a noi Anna e Mara. I tre sembrano amici da così tanto tempo che fanno pensare a un ritrovo di famiglia. Anche il locale dove ceniamo ci dà questa impressione, tanto più che è lo stesso in cui aveva cenato anche "la prima compagnia dell'Appia". Non contiamo le meraviglie gastronomiche di cui siamo felici vittime, così come i discorsi che si moltiplicano e si tuffano nel profondo, mentre il sonno inizia a farsi strada. L'ultimo pensiero è un misto di gratitudine e incredulità, non riusciamo ancora ad abituarci a queste giornate che si attorcigliano in curve serpentine, a differenza della nostra Linea.