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sabato 9 luglio 2016

Tappa Ventiquattro: da Masseria Miseria a Palagiano

7 luglio 2016

 
La giornata inizia con la tenerezza di una torta che Liliana ha preparato in inspiegabili ritagli di tempo solo per noi. "Mi siedo qui con voi", dice, "solitamente non lo faccio". Questa ragazza rifulge anche alle sei del mattino. E quando ci riaccompagna alla masseria, il nostro abbraccio lascia addosso tanta gratitudine e la speranza di incontrarsi presto (Liliana ha già in mente due o tre occasioni per rivederci).
Come prima prova superiamo un fossato, ci aspettiamo una tappa avventurosa, invece sprofondiamo nella campagna che riposa a fianco della SS 7 e l'attraversiamo accogliendo il paesaggio che cambia.

 
L'Appia-tratturo diventa Appia-campi e poi Appia-asfalto, corredata da cartellonistica che l'annuncia come novella via di pellegrinaggio. La prima indicazione è rotta. Ne raccogliamo i pezzi e proviamo a ricomporla, da qualche parte bisogna pure iniziare. Un delizioso boschetto di querce ci rende i passi leggeri e presto ci spalanca la vista sul golfo di Taranto. Ancora una volta, il mare. La Linea si sovrappone per qualche chilometro al tratturo Melfi-Tarantino, ricostruito in un brecciato bianco e rosa che scende tra solchi di pareti calcaree che scavano nicchie ombrose nella roccia. Qualche fossile affiora per ricordarci il ventre dal quale proveniamo.

 
Poi proseguiamo su "piste agricole", assaggiamo un'arancia maturata fuori stagione mentre intorno a noi ormai solo uliveti coi loro capelli ingrigiti, vigne accaldate dai pesanti teli di plastica e agrumeti. 

 
Da stamattina una brezza continua ci sospira sulla faccia, così procediamo spedite in mezzo ai filari, con la testa - e soprattutto i piedi - a Sud-Est. La direzione è quella giusta, ormai l'abbiamo digerita e ce l'abbiamo nel naso ma la strada, quella la perdiamo tra gli alberi. 
Eccolo, il momento avventura.
Attraversare una gravina sotto il sole di mezzogiorno.
Ma si fa, si fa anche quello. Si fa tutta l'Appia, è un patto che abbiamo sancito in silenzio all'inizio del viaggio. Troviamo dei passaggi non troppo scoscesi e come al solito è più la paura di ciò che avrebbe potuto essere rispetto alla realtà.
Dopodiché è infinito proseguire, centellinare l'acqua, resistere alla lamentatio. All'orizzonte il profilo dell'Ilva sovrasta anche il blu del mare. Ci sembra di dover arrivare lì, a Mordor, per compiere la nostra missione. Se vogliamo lo Jonio dobbiamo passare l'Ilva. Ma a questo penseremo domani.

 
Entriamo nel centro storico di Palagiano senza accorgercene, qui non c'è antichità a rivelarne il cuore. C'è però un unico bar aperto, un signore tanto gentile che ci riempie le borracce di acqua fresca e ci lascia sedere per mangiare il nostro pranzo già cotto dal sole. Arriva Giulio e ci porta ad assaggiare "il gelato più buono del mondo", poi ci accompagna nel suo B&B a Massafra. Per arrivarci facciamo il giro largo, ci vuole mostrare un tratto di Appia rinvenuto tra gli agrumeti, ma lo fermiamo appena in tempo: non si anticipano le tappe, è un'altra nostra regola non scritta.
Prima di giungere a destinazione, ci porta a vedere il castello da un punto di vista privilegiato e ci racconta con occhi appassionati la storia della sua città. A cena conosciamo anche Caterina, una donna di altri tempi. L'accento si percepisce appena, ha un modo garbato di fare domande ed interessarsi a noi. Restiamo un po' sul loro terrazzo a goderci insieme la frescura e il sorriso appena percepibile di una nuova luna, che sembra così timida in confronto all'attenzione sfrontata che la croce del cupolone richiama a sé. Per stasera, però, lasciamo che si fronteggino senza i nostri sguardi giudici, noi abbiamo una crostata alle ciliegie e un letto che ci attendono per un'altra contesa.

giovedì 7 luglio 2016

Tappa Ventitré: da Altamura a Masseria Miseria (Laterza)

6 luglio 2016

 
Sante ha voluto immortalare il nostro passaggio con una foto sul divano che "ne ha viste parecchie". Alle sei di mattina il nostro contributo a questo progetto fotografico sono facce sconvolte che ci trasformano in persone serie e pure un po' snob. I piedi, però, parlano chiaro: anche se scalzi e immobili per lo scatto, raccontano ciò che anticipa la partenza nel peso in avanti di Giulia, pronta ad andare, o nel piede di Clara che cerca all'interno la spinta giusta.

 
Il primo tratto di Appia è una provinciale poco frequentata, da lenti mezzi agricoli e macchine frettolose. Linee di tufo corrono ai bordi della strada a ricordo di qualcosa che fu ma sembrano muti, senza più niente da dire. Forse perché le cicale e i grilli da queste parti fanno un gran fracasso. 
L'arancio ha lasciato spazio al giallo già da un bel pezzo quando ritroviamo il tratturo, sebbene dei suoi 111,11 metri ne rimanga solo una manciata. È un breve incontro, presto si trasforma in sterrata divorata dalle infestanti e da un timido ma inconfondibile odore di fogna, ciò che resta del torrente Jesce. Ritorniamo sulla provinciale, ora più tortuosa, che attraversa immense distese di campi e masserie che sfilani come cattedrali di sabbia resistenti ai venti del nuovo. Prima di una rotonda, la vista di una molitudine di asini dalle acconciature strampalate ci solleva gli animi e cancella i pensieri, solo per un attimo. Sì, perché oggi camminiamo in fila per la maggior parte del tempo, il caldo rende i nostri pensieri posti comodi da abitare per sfuggire la ripetitività. Camminare una davanti all'altra ci permette anche di essere due, di far sì che il nostro diritto di andare si imponga con maggiore autorevolezza.
"Va' dove ti pare!", urla a Giulia un anziano signore in macchina. Non capiamo se si tratti di stizza o invidia, perché in effetti ha ragione: a piedi si può andare dove si vuole; in macchina c'è bisogno di seguire regole e logiche che rendono la marcia piena di strutture. I nostri successivi passi sono rinforzati dalla consapevolezza di questa libertà, che ci godiamo fino a che la canicola e un lungo lunghissimo rettilineo ci fanno perdere la concezione spaziotemporale del cammino, in mezzo ai campi di grano.

 
BREVE COMIZIO MONOCOLTURALE (SEMISERIO)

Indìgnati, Terra. 
È sconcertante vedere quasi esclusivamente grano per tutti questi chilometri. È avvilente sapere che la maggior parte degli ettari attraversati dal nostro sguardo tra Basilicata e Puglia - e in chissà quante altre zone - vengano di anno in anno impoveriti della vita, della sua corroborante diversità, dei suoi colori. Due regioni invase dal flagello giallo, una piaga che costringe comuni limitrofi a contendersi il primato del miglior pane locale.
Ribellati, Terra, che so, facendo ruzzolare le rotoballe fino a invadere la provinciale, o sparando in superficie troppi reperti archeologici perché possano essere ricoperti. Oppure, ecco, fai crescere a tua discrezione, con l'aiuto del vento o di uccelli migratori, banani, stelle alpine o baobab. Perché si possa imparare ancora qualcosa dal Piccolo Principe.
Indignati, Terra.
Reagisci al nostro sfruttarti senza nemmeno ringraziare.
Perché noi non ne siamo capaci, se tu non ci costringi a farlo.

 
Liliana ci viene a prendere nei pressi della Masseria Miseria e ci accompagna a Laterza nel suo B&B. Quando usciamo dalla doccia, il tavolo è apparecchiato per due. Questa è la meraviglia dell'ospitalità: il formaggio tagliato a cubetti (tre pezzi ciascuno), la focaccia ad attenderci. Mentre ci deliziamo, il cielo inizia a piovere un fiotto d'acqua continuo, come se l'avesse raccolta per mesi prima di lasciarla andare tutta insieme. E noi che lo pensavamo sterile. Quando smette, i fiori del terrazzo di Liliana sono distrutti ma l'aria è fresca. Liliana ci accompagna a vedere la gravina, col suo strapiombo alto fino a duecento metri, che pochi autoctoni conoscono e ancora meno valorizzano. Lei è una di quelle che ascolteresti per ore, con quegli occhi vividi, incastonati in una giungla di ricci scuri e una passione traboccante per la sua terra.
"Per me il fatto che veniate dal Nord per visitare questi posti è un regalo, ma anche un cruccio. Dovete arrivare voi da fuori per farci rendere conto di quello che abbiamo".

 
Ci perdiamo tra le stradine aggrovigliate del centro storico che cerca di riprendersi la vita un po' sottovoce. Di questo parliamo a cena con Liliana che cerca di fare qualcosa perché il suo diventi non il migliore fra i paesi, ma un luogo dove le cose funzionano nel rispetto del territorio.