domenica 26 giugno 2016

Tappa Tredici: da Benevento a Passo di Mirabella

25 giugno 2016

mi
Stamattina la voglia di andare ci prende le gambe. È una tappa importante per noi: a Benevento l'Appia si sdoppia e la sua gemella, la Traiana, corre verso il tacco lungo la costa. La nostra Via si spezza e gioca a nascondersi, ci aspetta una conta lunga e paziente ma soprattutto oggi incontriamo ginalmente Riccardo, la nostra guida. Daremo a lui un volto, un corpo e cammineremo insieme che, per noi, condividere la strada è entrare prepotenti nelle vite gli uni degli altri.
Arturo cammina con noi anche questa mattina, un terzo inaspettato giorno, nessuno di noi tre vuole salutarsi. È così che funziona quando si cammina con gli stessi passi: i compagni di viaggio ne diventano parte integrante. Lo capisco subito, a pelle, perché l'incontro avviene senza barriere, solo aria tra un corpo e l'altro. Si è più sensibili quando si è esposti.
Così, anche Arturo diviene officiante dei riti quitidiani: legge Paolone con voce calma, rasserenante, dando un ritmo dolce al nostro andare.

 
Fuori da Benevento iniziano i campi, piccole colline tonde ben squadrate dalle coltivazioni di zucchine, fragole, grano. Qui ancora i papaveri colorano di rosso le distese di spighe. Giulia, fan numero uno dei colori della natura, è in estasi.

TRILOGIA DELLA NULLAFACENZA
Chiediamo acqua per le borracce o per rinfrescarci la testa a tre diversi signori che così commentano il nostro andare:
1) Bella vacanza, se avete il tempo per farla.
2) Se non tenete lavoro fate bene a camminare.
3) Fate una scampagnata? Bravi, il tempo perso qualche volta fa pure bene.

 
Fa molto caldo. Man mano che ci avviciniamo all'Appennino, l'impressione è che il cuore dell'Italia si accenda. Raggiungiamo il guado di ponte Rotto con venti minuti di anticipo. Oggi esistono degli orari, abbiamo appuntamento qui con Riccardo. Mentre cerchiamo il punto migliore per attraversare il fiume, ecco una voce alle nostre spalle, lui compare, verde brillante. Lo abbracciamo stretto, Riccardo, come se fosse passato troppo tempo dall'ultima volta, come se quelle parole le avesse scritte solo per noi. 

 
Ha l'aspetto di un rituale l'attraversamento, con tutta la simbologia e la concretezza dell'acqua. Sappiamo che da qui l'Appia non sarà più la stessa. Ora siamo in quattro a risalire l'argine e attraversare la campagna; subito il percorso acquista un nuovo tempo, quello dei suoi piedi esperti e del suo camminare pulito ma incisivo. Sono piedi che lasciano il segno, quelli. Riccardo ha voglia e capacità di condividere i suoi racconti e i suoi pensieri: "Non servono soldi, servono piedi. È così che si riapre una via, camminandoci".

 
Poco oltre, un'auto rossa sfreccia sulla stradina puntando verso di noi. Fa la sua comparsa Sandra, archeologa che trabocca passione e tenacia. Sembra uscita da un film di Dino Risi o di De Sica, lo sguardo sempre un po' più in là e i gesti lenti, fluidi, come a volerla spalmare tutt'intorno a sé, la femminilità. Tra una telefonata del nipote e una manovra, riesce a snocciolarci informazioni storiche e attuali discordie sui reperti del luogo, tappezzato di reti rosse a tutela degli scavi. La salutiamo e proseguiamo percorrendo prima il Vallone dei Morti, poi risaliamo una pendenza ammazzafiato che anticipa le nostre prossime tappe irpine.
Davanti a un gruppo di case chiediamo a una signora dell'acqua. Lei torna con le braccia piene di bottiglie e bottigliette fresche e ci offre anche nu poco di rustico, assieme a un sacchetto di albicocche e prugne del suo orto. Riccardo chiede: "lei sa che abita sull'Appia Antica?".
"Sì, sono venuti gli amici di mio figlio con le carte, ma in realtà passa un poco più in là". Le chiediamo il suo nome, ce lo dice sottovoce con l'imbarazzo di chi indossa una maglia troppo stretta sulla pancia. Adelina.

 
Poco dopo, Riccardo torna ad essere parole scritte: Fausto è passato a prenderlo e si offre di ospitarci per la notte. Ormai cotti a puntino, veniamo prelevati da Sandra per una doccia rigenerante. Mentre mangiamo pizza fatta in casa e soppressata di Pasquale - il loro maiale - conosciamo i genitori e i nipoti di Sandra.
"Non c'è stato terremoto peggiore di quello dell'Irpinia. Il nostro è un terremoto DOC", esordisce il padre di Sandra, che sull'argomento ha scritto anche un opuscolo. Ci mettiamo in posa per fare una foto con lui, ma ci vuole anche uno zaino, ne basta uno solo, così poi lo pubblico su facebook e tutti sanno che siete passate da casa mia. Ecco da dove arriva la parte vulcanica di Sandra.

 
Arriviamo ad Apice che Riccardo ha appena iniziato a parlare ed è ancora una volta un'emozione che si muove nella bocca dello stomaco. Impariamo a conoscerlo attraverso i suoi stessi occhi, le foto dei suoi viaggi ci scorrono davanti. Si racconta così bene che ci sembra di camminare con lui e di guardare il bello e il brutto del mondo che si prendono a braccetto. Ascoltarlo fa venire voglia di muoversi, di partire subito. Noi, Clara e Giulia, ci guardiamo, perché ormai ci basta quello per dirci che sognare alto si può e che camminare non è solo andare e non è solo andare in qualche posto. È un'altra maniera di vivere.
Ci sembra di rivivere le parole di Rumiz quando ad un tratto il confronto si scalda sull'annosa questione tra popolo e archeologia: da una parte il metodo scientifico alla ricerca di prove certe, dall'altra la rivendicazione e il diritto di riappropriarsi delle proprie radici. Alla magica parola "pizza!" si acquietano gli animi. Durante la cena abbiamo modo di conoscere Martin, un bergamasco con gli occhi chiari che sta onorando "l'anno dei cammini" percorrendo a piedi, in lungo e in largo, tutta la penisola, da solo. Bastano cinque minuti e siamo già fratelli. Ci accorgiamo che non siamo sole nella nostra "follia", quella degli sguardi degli automobilisti che ci sfiorano i gomiti, quella del dare un nome a tutti gli oggetti essenziali al viaggio (noi abbiamo Paolo e Riccardo, lui ha Luana e Ramona, le sue racchette), quella del poco o niente, che basta per vivere. Bene.

Nessun commento:

Posta un commento