venerdì 24 giugno 2016

Tappa Undici: da Maddaloni a Montesarchio

23 giugno 2016


Ci sono due respiri nella stanza, questa mattina: il nostro e quello di Arturo. È più semplice, questa volta, accordarsi, trovare una melodia comune. Non serve prendere troppe misure, calcolare le distanze, con lui. Arturo è zucchero nei tuorli.
All'ingresso attendiamo che qualcuno ci faccia pagare, l'uomo della reception deve ancora finire di farsi il caffè. Arriva Amedeo, un uomo con la pelle di betulla e gli occhi vispi di chi non vuole perdersi nulla della giornata, ci consegna una bottiglia di Aglianico e un vasetto di salsicce. Ancora non lo conosciamo, ha saputo del nostro viaggio e non poteva non salutarci.
"La volete vedere una cosa spettacolare?". Dopo averci offerto la colazione ci chiede se possiamo dedicargli dieci minuti del nostro tempo. Lui, lo chiede, a noi. Ci accompagna a vedere il salone del convitto "Giordano Bruno": il soffitto è un'unica tela di 720mq che si specchia su un pavimento di piastrelle rosse. Tutte tranne una.
"È quella delle punizioni. Il bambino doveva stare in piedi qui sopra, immobile. Poteva durare dai venti minuti alle tre ore".

 
Dopo una breve sosta davanti al cedro che si narra fu piantato da S. Francesco, Amedeo ci conduce verso i "ponti della valle": un immenso acquedotto realizzato per portare l'acqua alla Reggia di Caserta dal re Carlo di Borbone. Amedeo è come i ceuz', le more. Prima si posa una foglia sulla mano aperta, poi vi si adagiano i frutti. Anche lo sguardo della nostra guida è delicato e quando ci salutiamo si emoziona: "qui è dove sono nato e cresciuto, proprio qui da dove partite". Mi ricorda una poesia di Yeats: I have spread my dreams under your feet / tread softly because you tread on my dreams. Grazie Amedeo.
Partiamo dunque in ritardo sulla nostra tabella di marcia, partiamo felici. La tappa è quasi tutta su asfalto, quasi subito noia, ormai la statale 7 è diventata il nostro supplizio, il prezzo da pagare, ciò che ci è rimasto. Oggi il vero motore sono gli incontri: a Santa Maria a Vico ci ferma Gennaro, ottantasei anni. Il segreto? "Non lo so. Forse è non sconfinare, non desiderare".

 
A bordo strada, la voce di un uomo ci fa sobbalzare: "dove andate?".
"Brindisi".
"Voi siete figli del demonio. Io pensavo che eravate extracomunitari, invece state 'n copp' a Italia".

 
Finalmente prendiamo un sentiero che si inoltra nel bosco, sopra di noi due montagne si incontrano in uno strapiombo. Le forche caudine. Sono un po' come l'arrivo di Babbo Natale, per noi. Durante il nostro viaggio in Molise, lo scorso anno, tutti ce le hanno nominate, raccontate, descritte. Conosciamo quasi a memoria le parole di Tito Livio. E finalmente ora Natale è arrivato. Il punto esatto non si conosce, ma ci piace immaginare che lo spirito di un popolo fiero e così attaccato alla pietra per via di uno strano orgoglio possa abitare queste montagne e salvare ciò che rimane della Storia che qui riposa.

 
Montesarchio compare all'orizzonte, inconfondibile nel suo svettare, con il castello e il convento a dominare la vallata. Qui la nostra Linea si spezza, aprendo un varco tra le case. Al centro della piazza Ercole si erge sopra quattro leoni di pietra, due di questi sputano acqua gelata, ciò di cui avevamo bisogno per onorare piedi e gambe. Ci muoviamo alla ricerca di una sistemazione per la notte, proviamo a chiedere ospitalità nelle chiese, oggi. Una vecchina ci osserva arcigna quando le chiediamo: "dove possiamo trovare il prete?".
"Io non so niente".
Ed è un mantra per tutte le domande che seguono. Un'omertà perentoria e irremovibile.
Nei vicoletti incontriamo Lucia, che ci prende per mano come figli suoi. Occhiali e capelli scuri, cammina davanti a noi, il ritmo da infermiera lo notiamo nelle ciabatte. Ci apre la strada fra i vicoli in salita, snocciola il suo dialetto migliore alla ricerca di informazioni e poi ci mette al sicuro in chiesa, nell'attesa di buone notizie. Dopo meno di mezz'ora ricompare: "venite con me, ho trovato un posto che può darvi ospitalità sulla strada per Benevento". È un hotel a quattro stelle dove è in corso un ricevimento e presto arrivano anche due sposini. Ci sentiamo fuori luogo, ma l'ospitalità è disarmante anche in questo.
La nostra cena è un gelato nel centro commerciale di fronte. Qui incontriamo Massimo, quel modo di fare che tra scherzi e battute ci trasforma subito in vecchi amici. Ci salutiamo con tutte le raccomandazioni del caso e mentre usciamo sua nipote ci raggiunge di corsa, consegnandoci un sacchetto di carta: "due cornetti per colazione". Due cornetti a testa. L'ospitalità è disarmante anche in questo, dicevamo.

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